Rielaborazione dal poster di "Magnum Force", 1974 |
Qualche giorno fa a Lucca, davanti a un ottimo tagliere a un tavolino all'aperto, alzo gli occhi e noto una scritta su una delle insegne. Se dovessi dare un voto al locale su TripAdvisor, gli attribuirei 10 in gastronomia e 4 in latino, perché la scritta, a meno di una scelta deliberata, conteneva un errore: Nuntio vobis gaudium magnum: habemus pizza.
Nella formula ufficiale dell'annuncio dell'elezione di un papa (che, lo ammetto, si sente pronunciare solo a ogni morte di papa) si usa annuntio, ma nuntio è altrettanto corretto, così come vobis (dativo: "a voi") e l'accusativo gaudium magnum ("una grande gioia", complemento oggetto); anche se a volte la frase viene riportata con la locuzione magno cum gaudio ("con grande gioia", ablativo) e senza i due punti. Ma, come tutti ricordano, la frase si chiude con habemus papam ("abbiamo il papa", accusativo, in quanto complemento oggetto).
Pertanto "pizza" andrebbe latinizzato in pizza, pizzae (prima declinazione) e all'accusativo farebbe pizzam. Mi rendo conto che un turista straniero dei tanti che affollano la splendida piazza Anfiteatro avrebbe difficoltà a capire pizzam e che anche l'italiano medio penserebbe a un errore nell'insegna, quindi forse è stata una scelta deliberata. Tanto più che in latino moderno "pizza" si traduce con placenta (quindi la frase corretta sarebbe habemus placentam), ma un locale che affermasse di servire placenta sarebbe immediatamente frainteso.
Nondimeno la locuzione mi ha fatto tornare in mente l'uso talvolta infelice di frasi in altre lingue nella narrativa. E il latino è una delle vittime illustri. Ricordo anni fa il dattiloscritto dalla trama delirante di un'aspirante scrittrice di gialli. Ogni suo tentativo di usare espressioni latine si risolveva in modo disastroso: per esempio si può dire ad honorem, si può dire honoris causa, ma non... ad honorem causa. In una storia di Carlo Medina presente nel volume Milano da morire, lo faccio dire a un personaggio che si ostina a usare il latino senza mai azzeccarne una; a a ogni riedizione devo precisare alla redazione che è volutamente sbagliato, per evitare che qualche latinista lo corregga, ignaro, con l'espressione esatta.
Un'altra espressione che trovai nello stesso dattiloscritto ma anche altrove è out out (sì, "fuori fuori" in inglese!) al posto di aut aut ("o... o..." in latino) che indica una condizione irrinunciabile, posta in termini di ultimatum. Temo anche di avere letto da qualche parte ad ok in luogo di ad hoc, nel senso di "apposito".
C'è invece una locuzione ambigua: in italiano si usa dire "qui pro quo" per indicare un equivoco; il termine deriva dal latino quid pro quo, ovvero "una cosa al posto di un'altra". Ma in inglese la locuzione ha assunto il significato di "una cosa in cambio di un'altra", frase utilizzata anche nel doppiaggio de Il silenzio degli innocenti, laddove una traduzione corretta (ma non coincidente con il labiale di Anthony Hopkins) sarebbe stata do ut des (in latino "do affinché tu dia"), cioè la formula usata in italiano per esprimere il concetto.
Detto fra noi, un aspetto imbarazzante degli anglofoni è che tendono a pronunciare le parole latine come se fossero inglesi, come sa chi ha visto Lost nel parlato originale. La stessa parola magnum, usata in relazione ai proiettili e come cognome di un famoso detective privato della tv, diventa "Mag-Num"; un po' come in spagnolo, dove un noto brandy si chiama Magno, pronunciato Mag-No, perché per dirlo come in italiano dovrebbe essere scritto maño.
Ma capita spesso, specie con autori americani, che nel tentativo di inserire frasi in altre lingue prendano cantonate terrificanti. Per esempio, quando un personaggio viene fatto parlare in italiano, le frasi risultano in una lingua ibrida italo-spagnola. Per essere un po' più corretti si può tentare la sorte con Google Translate, dove però si rischiano clamorosi equivoci, oppure cercare frasi fatte su dizionari online, verificando possibilmente da varie fonti. L'ideale è interpellare un madrelingua, tenendo presente tuttavia che lo stesso idioma viene parlata in modo diverso a seconda delle regioni o dei paesi: pensiamo alle differenze tra l'inglese britannico e quello americano, o tra il castigliano in Spagna e quello in vari paesi dell'America Latina.
Sicché l'errore è sempre in agguato. Sono abbastanza certo di averne commessi anch'io, quando ho cercato di far parlare personaggi in altre lingue. Il che non ci esime dal fare tutto il possibile per trovare la formula corretta, servendoci degli strumenti che Internet ci mette a disposizione e di cui i nostri predecessori non potevano usufruire.
Continua...
Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) ha esordito sulle pagine de Il Giallo Mondadori nel 1993. Da allora ha pubblicato una sessantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, presso alcune delle maggiori case editrici italiane e qualcuna delle peggiori. Editor, traduttore, consulente editoriale, all'occorrenza è anche sceneggiatore, fotografo, illustratore, copywriter (di se stesso) e videomaker.
No hay comentarios:
Publicar un comentario